giovedì, Aprile 18, 2024
Cronaca

Alfonso e Gerald, un’amicizia nel braccio della morte tra il Texas e Cerignola

Alfonso e Gerald, un'amicizia nel braccio della morte tra il Texas e Cerignola

È un’amicizia epistolare particolare, quella tra il cerignolano Alfonso Santamaria e il texano Gerald Marshall: Alfonso Santamaria è un educatore socio – pedagogico in un centro diurno per disabili; Gerald Marshall è detenuto dal 2004 nel braccio della morte nel Polunsky Unit di Livingston (Texas) per omicidio. Un rapporto singolare nato «circa dieci anni fa, quando vidi un servizio realizzato da Le Iene su Chico Forti, un detenuto italiano negli USA per omicidio condannato all’ergastolo – racconta Santamaria – Questo mi ha portato a riflettere sull’istituzione carceraria in generale. Ho pensato allora di scrivere ad un carcerato e mi sono rivolto alla comunità di Sant’Egidio che mi ha dato il nominativo di Gerald Marshall».

Secondo l’accusa, Marshall ha ucciso un impiegato di un fast food nel corso di una rapina. Marshall, insieme ad altre due persone, ha partecipato al crimine, ma nega di aver ucciso l’impiegato, peraltro affetto da un lieve handicap mentale. Una colpevolezza su cui gravano forti dubbi: «Oltre a testimonianze divergenti, c’è il fatto che gli altri due complici siano stati messi nella stessa cella (contravvenendo alle disposizioni carcerarie), avendo così modo di concordare la versione da fornire per scaricare la colpa sul più giovane dei tre – spiega l’educatore –  Inoltre, il principale accusatore è un informatore detenuto in carcere, al quale Marshall avrebbe confessato di aver commesso il delitto e che ha ricevuto un forte sconto di pena». All’interno del sistema carcerario americano, le figure degli informatori carcerari sono molto controverse, in quanto è noto che inventino confessioni da parte dei loro compagni di cella per ricevere benefici di vario genere. Nonostante tutto questo, l’ultimo ricorso è stato respinto e ora Marshall vive in attesa che la condanna sia eseguita.

Il rapporto epistolare dura dal 2012: «Nelle nostre lettere parliamo di tutto, dallo sport alla guerra in Ucraina – dice Santamaria – Io gli racconto della mia vita con la mia famiglia. Quando sono rimasto senza lavoro, mi ha incoraggiato. Lui è una persona molto saggia, sensibile, che disegna e scrive poesie. Mi sento impotente davanti alla sua vicenda, vorrei fare di più per lui, anche una telefonata che non gli ho mai fatto. Se consiglio di avere come amico di penna un detenuto in un braccio della morte? Sì, perché fa bene ai detenuti e anche a chi scrive, perché fa capire quanto si sia fortunati a non vivere vite come quelle di Gerald Marshall, segnata da povertà e abusi da parte della famiglia a cui fu affidato da bambino».

Giovanni Soldano


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