venerdì, Aprile 26, 2024
Cultura

Attacco al Potere 2, tra Trump e patriottismo rambista

[ LUMIERE EXPRESS ] Se avessimo avuto l’onere, ma forse anche l’onore, di poter intervistare Donald Trump durante una pausa della sua corsa al vertice, avremmo sentito esprimere come suo consiglio cinematografico il film di cui ci occupiamo oggi.

 

Si, perchè Attacco al potere 2, di Babak Najafi, che riceve il testimone da Antoine Fuqua, di calibro ben maggiore rispetto all’attuale prodotto, sembra essere stato imbastito dal comitato elettorale del magnate-scheggia impazzita, per promuovere il suo programma di politica estera. Non vi aspettate riflessioni sui servizi segreti e corbellerie varie, non c’è dietro la macchina da presa Robert Redford o Tony Scott, c’è solo patriottismo in salsa rambista e spettacolare, ma che può regalare attimi di piacere, una volta messi i neuroni in naftalina.

CI sono tutti gli ingredienti per poter annoverare il film fra quei fortunati progetti che, partiti in sottobudget, hanno la botta di culo di ricevere un aumento all’ultimo minuto, ma senza che questo alteri l’impianto generale per renderne un’opera degna. Fra presidenti degli Stati Uniti gioviali e carismatici, bodyguard acrobatici e ligi fino al parossismo, il film procede per un ora e quasi e mezza senza intoppi, ma senza colpi di coida che gli conferiscano un’attitudine particolare all’interno del panorama del thriller di spionaggio contemporaneo.

Ritroviamo i protagonisti del primo, l’agente Mike Benning interpretato da Gerard Butler, e il presidente dal volto di Aaron Eckhart, ma con meno brio rispetto al primo, catapultati a Londra per rendere omaggio alle esequie del primo ministro britannico, molto in circostanze sospette. Il dovere chiama, c’è solo il tempo di un ultimo bacio alla moglie incinta e devota casalinga, ed ecco che Mike parte per servire il suo paese, nonchè l’amico pezzo da novanta. Il cast di punta, oltre ai due sunno-minati, dopo Morgan Freeman nelle vesti di vicepresidente, sembra essere stato raffazzonato in quattro e quattr’otto, dato che assistiamo ad una Cancelliera tedesca che di Angela ha solo la tinta dei capelli, e un primo ministro italiano dall’accento toscano ma dalla caratterizzazione decisamente silviana. Pazienza.

Subito dopo scoppia l’inferno. Terroristi travestiti da poliziotti scatenano il panico, seminando morte e distruzione fra le strade della capitale, forse riflesso inconscio dell’invidia yankee verso i ricchi monumenti del Regno Unito. I terroristi sono travstiti, ma tranquilli, non aspettatevi pipponi sugli sdoppiamenti d’identità  che la civiltà  moderna ha imposto all’uomo d’oggi. Il regista, con l’acquisto del biglietto, vi ha pro-messo esplicitamente una vacanza dalla critica della ragione pura.

In mezzo al marasma generale, ecco che, al pari di una dolce fatina che interviene in difesa del protagonista in difficoltà , ecco che emerge dal nulla una collega d’agenzia del prode Mike, in incognito a Londra proprio per assisterlo. Tutto sembra andare liscio, ma ad un certo punto il presidente sfugge dalle mani di Mike, ed ecco che la retorica americana prende il sopravvento. Sfoderando l’ascia di guerra, Mike si getta a capofitto nell’impresa di liberare il suo capoccia, come un valoroso cavaliere alla ricerca del suo re. Ed ecco che si muove fra le vie fumose di Londra, ovviamente, sparando all’impazzata e uccidendo cattivi come mosche con l’autan, fino a quando, a distanza di un minuto dallo scoccare del gong, salva il suo presidente dalle grinfie dei terroristi, imboscati nel loro quartier generale al centro di Londra.

Giunti al capolinea, sembrerebbe tutto noi binari del classico film d’azione sparatutto. Vi sorprenderà  adesso svelare un altarino della trama. Pare proprio che la mente dietro l’attentato ai capi di stato del mondo voglia vendicarsi di un attentato americano di due anni prima in cui perse la vita gran parte della sua famiglia. In pratica, il gioco sporco l’hanno incominciato i figli di zio Sam. Ma questo è un dettaglio che lo spettatore nostrano, semplicemente bollerà  come effetto collaterale di una guerra iniziata quindici anni fa  e ancora non conclusa.
Enrico Frasca
 

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