L’export manager dell’agroalimentare per uscire dalla crisi
“”Oggi molte aziende guardano all’estero soprattutto come ultima spiaggia invece che per mirata strategia: l’estero è un’ancora di salvezza e non è sempre vista come reale opportunità commerciale””.
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Carlo Dalessandro è export manager e da 8 anni lavora nel campo dell’internazionalizzazione di prodotti italiani sia nel privato che nel pubblico: diverse esperienze in Italia, tra Bologna e Forlì, ed esperienze maturate anche all’estero, presso la Camera di Commercio di Singapore, gli hanno dato l’infarinatura generale per guardare con attenzione al business oltre nazione e per avviare le imprese, anche locali, verso l’agognata internazionalizzazione dei prodotti.
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“”Storicamente nel Mezzogiorno certi fenomeni si diffondono con più lentezza e solamente negli ultimi periodi si è raggiunta quella consapevolezza che in altre regioni italiane, Lombardia ed Emilia Romagna su tutte, è già realtà da diverso tempo. Molti ci chiedono di sbarcare all’estero in sei mesi, come se un’operazione del genere sia di facile attuazione e non debba tener conto di tanti fattori che partono, prima di tutto, dall’analisi delle potenzialità dell’azienda stessa””, racconta Dalessandro a L’Attacco.
Ma cosa fa, nello specifico, l’export manager? “”Innanzitutto, prendendo in considerazione un’impresa che parte da zero esperienze di internazionalizzazione, è necessario effettuare uno studio riguardante il prodotto e la struttura stessa della ditta; successivamente si devono individuare quali mercati potrebbero essere favorevoli e soprattutto attraverso quali canali bisogna raggiungerli. Da qui “”“ precisa- è necessario cogliere i feedback e i riscontri del mercato per capire sùbito se il tuo prezzo è troppo alto o troppo economico, cosa va e cosa non va, cosa offrire e cosa non offrire; una volta sul posto puoi anche scoprire che quello non è il tuo mercato e che magari hai sbagliato Paese e devi aprirti nuove strade””.
Non sempre la strada dell’internazionalizzazione è spalancata. Succede infatti che i risultati arrivino solamente nel giro di un anno: “”Ad esempio, se si prende in
considerazione il Giappone “”“ spiega Dalessandro-, che ha un approccio al business molto lento, i risultati non saranno immediati, ma necessitano anche di un paio d’anni di rodaggio””. In sostanza il lavoro dell’export manager è fatto di relazioni, contatti, viaggi ed incontri e supplisce, in qualche modo, ciò che oggi nelle maggiori aziende italiane è il compito affidato alla proprietà : sondare i mercati ed effettuare delle scelte di investimento in questo o in quel Paese.
“”L’azienda-tipo in Italia è ancora a conduzione familiare ed è anche per questo che molti imprenditori vivono un po’ il timore di lasciare così tanto spazio a figure esterne come gli export manager: quindi è difficile trovare chi possa assumere una figura professionale del genere in pianta stabile””.
Un ritratto preciso del project manager ancora non esiste: di solito si tratta di laureati in economia o in ingegneria; non esistono corsi di laurea specifici o master che indirizzino velocemente verso i campi inesplorati del mercato estero; nonostante questo, però, la figura dell’export manager è già in evoluzione perchè “”capendo la difficoltà degli imprenditori, consapevoli che la crisi non lascia spazio ad investimenti, cerchiamo di lavorare come freelance alleggerendo i costi e praticando, dunque, vere e proprie consulenze””, racconta Carlo Dalessandro.
Nasce così, dunque, la “”Temporary Export Manager””, una sorta di agenzia che dà “”in fitto”” i consulenti per singoli progetti di internazionalizzazione, gravando il meno possibile sulle casse delle P.M.I e sfruttando la professionalità dei propri associati: “”Tra crisi, costi di produzione e il complicato sistema di leggi italiane, al momento è l’unica strada percorribile””.
“”Ogni Paese ha le proprie regole e le proprie leggi, oltre ad avere una particolare “”˜business culture’: se lavori nei paese arabi, i contratti non saranno chiusi prima di un mese; mentre, ad esempio, negli Usa è tutto molto più rapido. Per questo c’è bisogno di conoscere le dinamiche internazionali prima di affrontare un viaggio commerciale all’estero che, in molti casi, se si è sprovveduti, potrebbe risultare inutile e nei casi più sfortunati controproducente””, conclude Carlo Dalessandro.
Michele Cirulli
FOCUS
I self made manager
La Masiello Food è vicina a tagliare un importante traguardo: quest’anno circa il 50% del fatturato proviene dall’esportazione dei prodotti dell’azienda ubicata in Zona Industriale, a Cerignola: “”Un buon risultato soprattutto se si considera che la ditta è giovane ed è nata solamente nel 2005″”, dice Alessandro Masiello.
Masiello Food esporta principalmente in Australia, Nuova Zelanda, Spagna Danimarca, Malta, Israele e si affaccia al mercato arabo oltre che alla Corea del sud. Il metodo utilizzato per l’esportazione di olive, funghi, carciofi è basato essenzialmente sul lavoro interno della proprietà , che prende contatti e stringe relazioni sostituendosi a quello che è il ruolo dell’export manager: “”Attraverso internet facciamo le nostre ricerche, comunichiamo con i nostri interlocutori, ma essenzialmente prediligiamo il contatto diretto; successivamente utilizziamo anche i canali delle reti di impresa e delle associazioni di categoria che ci indirizzano verso quei paese emergenti in cui la richiesta di prodotto italiano è molto alta””. Inserire in pianta stabile un project manager, però, secondo Masiello, risulta problematico: “”E’ di sicuro una figura molto importante, ma sarebbe impossibile, per le piccole e medie imprese, riuscire a sostenere i costi di un esperto: probabilmente sarebbe più utile consorziarsi, magari ditte che operano in diversi settori merceologici, per poter suddividere equamente i costi che tale figura comporta””, suggerisce l’imprenditore che, nei fatti, è un self made manager con oltre 15 anni di esperienza nelle esportazioni.
“”Nei bandi della Regione Puglia si fa riferimento a fondi per reti di impresa a personalità giuridica: purtroppo, però, quasi nessuna rete nella nostra provincia è a personalità giuridica, quindi questi finanziamenti sono destinati a un numero ristretto di utenti che potranno beneficiare, tra le altre cose, di queste nuove figure professionali””, sottolinea Masiello.
“”In tempi di crisi l’export è uno dei metodi più efficaci per rimanere a galla””, sostiene sulla stessa lunghezza d’onda Pierfrancesco Castellano, della storica eomonima casa vinicola ubicata sulla SS16 in prossimità di Stornara: “”Anche noi badiamo in autonomia all’export della nostra azienda””. In entrambi i casi, il canale maggiormente utilizzato per battere le strade estere è la partecipazione alle fiere: “”Nel 2015 ci sarà l’Expo a Milano, poi ci rechiamo a Parma o a Colonia, in Germania””, spiega il giovane imprenditore. Il gruppo Castellano oggi esporta i propri prodotti “”in tante realtà del nord America, soprattutto in Canada, oppure in Olanda, Svizzera, Francia, Lituania e Grecia””.
“”L’impiego dell’export manager è indicato soprattutto per medie e grandi aziende, poichè le piccole non potrebbero sostenere i costi per mantenere in maniera stabile un esperto””, prosegue, “”e tra l’altro l’associazione tra varie ditte, anche se non concorrenti sullo stesso mercato, considerate le dinamiche territoriali, potrebbe rivelarsi fallimentare: è un terreno scivoloso, soprattutto quando si parla di dover cedere qualcosa di proprio per metterlo nelle disponibilità di altri imprenditori””.
Per ovviare alla “”grana-costi””, gli export manager iniziano a lavorare da “”freelance””, con partita Iva, offrendo vere e proprie consulenze progetto per progetto, caso per caso, per ottenere un duplice vantaggio: personale e aziendale.
“”Il mercato internazionale è fortemente basato sulla qualità : in Italia, con gli spazi ormai chiusi e compresse, e con una forte concorrenza, il risparmio la fa da padrona a discapito dei consumatori. Altrove, invece, è la qualità ad essere premiata””, conclude Masiello.