giovedì, Aprile 25, 2024
Cultura

It follows di David Robert Mitchell : la paura di aver paura

E’ arrivata l’estate, e come i cultori della materia sapranno bene, con essa si avvia la stagione ideale degli horror low budget, che a molti fanno storcere il naso, e a volte hanno ragione da vendere. Però capita sempre una chicca rara che induce i più onesti a ricredersi.

 
In fin dei conti, d’estate sono uscite pietre miliari del genere come lo Squalo e L’esorcista, che sono poi rimaste a brillare nel firmamento del cinema ancora oggi. Ebbene, la critica ad ogni latitudine ha decretato un destino similare per It Follows, seconda opera del giovane cineasta David Robert Mitchell.

Già  il suo primo film aveva stupito per la sua perizia, e si attende ora il suo terzo lungometraggio, che promette bene, a giudicare dai primi stralci di script trapelati nell’etere digitale. It Follows ha avuto la sorte di molti film : partito in sordina, dopo aversi fatto notare al Festival di Torino con un certo ritardo, dopo due anni approda nelle sale italiane distribuito dalla Koch Media. Un operazione che ha già  ridato a Cesare quel che era di Cesare come con Babadook, che ha fatto rabbrividire gli spettatori l’anno scorso. E in effetti It Follows ha molto in comune con l’horror australiano. Anzi, sembra la rivisitazione dello stesso film in chiave teen. Al posto di un’adulta tormentata, una cricca di giovani sciroccati alle prese con un entità  indefinita, che può assumere qualsiasi aspetto di istante in istante, ma che ha il potere di mutare completamente le abitudini di vita delle proprie vittime.
Il tutto pero servito con un commento musicale di prima scelta, ad opera del compositore Disasterpiece, nome di battaglia di un musicista cui il futuro potrebbe riservare allori inaspettati. La colonna sonora, sintetica e graffiante come una stilettata, ha il pregio della varietà . Ogni sequenza ha un proprio tema sinistro e soffocante, che muta radicalmente nella sequenza seguente. E nella sua originalità  racchiude gli echi di quella del primo Halloween, del patriarca horror John Carpenter, e del suo rivale, che sfortunatamente sta godendo la pace eterna, Wes Craven, strizzando l’occhio al suo Nightmare, vera e propria bomba atomica del suo genere.

E l’omaggio non si limita solo alle musiche, nei riguardi di questi nomi altisonanti. La regina delle scene, come avveniva con l’inquietante Springwood tormentata dal mostro con gli artigli d’acciaio, è Detroit, resa sullo schermo come una città  sonnacchiosa e semideserta, forse in ossequio ad una rappresentazione della crisi del settore automobilistico che ha intaccato duramente l’economia urbana. Già  questo riferimento alle condizioni critiche di una famosa metropoli dovrebbe indurre a formulare un giudizio di piena stima nei confronti di uno sbarbatello di nemmeno trent’anni giunto al suo secondo lavoro. Questa è l’ennesima lezione della necessità  di poggiarci sulle spalle di chi ci ha preceduto per saper realizzare qualcosa di efficace.

Poi, permettetemi di ringraziare Mitchell di aver fatto qualcosa di diverso dai soliti clichet. Finalmente abbiamo trovato qualcuno che non ci sfragana le palle con i soliti urli alle spalle, squartamenti da slasher triti e ritriti, ma qualcuno che comunica un senso di disagio permanente che si regge su una continua promessa di pericolo. L’orrore è innanzitutto nelle pieghe dell’animo dei giovani protagonisti, e salvo rare manifestazioni, esso si consuma all’interno e non dall’esterno. Una nuova formulazione dell’horror, di retrogusto thriller, che forse i più giovani dovranno aspettare di lasciare i calzoni corti per apprezzarlo, assuefatti come sono alla melassa horror canadese che ha inondato il web e le videoteche da qualche anno a questa parte.

In molti hanno intravisto, in questo mostro a trasmissione sessuale, un allegoria dell’Aids e delle malattie veneree. E in effetti, la Cosa che insegue la scream queen di turno, la surfista e attrice Maika Monroe, come al solito bionda ma comunque molto brava, è lenta ma non stupida. Si può facilmente leggere un richiamo ad una malattia dal decorso lento ma inesorabile come il morbo trasferitosi in Europa nel 1982. Si sa, i cineasti di genere e il loro pubblico hanno simpatie vagamente conservatrici, e in questo caso, un monito un po’ moraleggiante ci sta, se condotto con tale bravura.

Per David Robert Mitchell potrebbero schiudersi le porte dell’olimpo cinematografico a breve. Prova ne è stata la sua convocazione nella giuria del Festival di Cannes di quest’anno. Scott Derrickson e James Wan, cominciate a temere per il vostro trono di reucci del brivido.
Enrico Frasca
 

 

Subscribe
Notificami

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
0
Commenta questo articolox